mercoledì 11 novembre 2009

San Martino

L'estate di San Martino
La neve era di già in terra (ora parlo di quasi duemila anni addietro) e il cavallo, ferrato a ghiaccio, vi stampava in doppia fila le sue orme, mentre il cavaliere si stringeva nel suo mantello. Il cavaliere era Martino, e camminava per tornarsene alla sua casa, distante ancora poco meno di quattro giorni. Ravvoltolato fino agli occhi in quel suo mantello, pensava per gusto alla sua casa, al suo tiepido letto, quand'ecco davanti a lui un povero vecchio, talmente povero che con quel freddo, fra quella neve, non aveva un cencio che gli coprisse le spalle. San Martino non era ancora santo, e neppure cristiano (studiava, sì, per diventare un giorno cristiano), ma il cuore era quello: tira la briglia al cavallo, si leva il mantello, lo addoppia, agguanta la spada, la pianta nel mezzo e za! di un pastrano ne venne due.
Nell'atto stesso che il soldato porgeva al povero la metà del suo mantello, tutta la neve che era in terra disparve, la terra si rasciugò, l'aria si fece calda, le piante sparsero la foglia, gli uccelli si misero a cantare: insomma una vera estate in pieno novembre.
Quando, la sera, fu all'albergo, appena egli, si trovò col suo cavallo al coperto, ecco che ricominciò a nevicare, e la mattina il mondo era bianco, preciso come ventiquattr'ore innanzi. Dunque, il giorno prima, aveva sognato di certo, aveva sognato.
Rimbacuccato come poteva in quel mezzo mantello, Martino si rimise in viaggio. Ed eccoti, brrr! un altro povero, che non aveva per coprirsi altro che le mani. E Martino? Martino, questa volta, non stette a cavar la spada: meglio goda uno che patire in due e diede al poveretto tutto il resto del suo mantello, tenendosi per sè tutto il freddo... Il freddo? Ma dov'è il freddo? Dov'è la neve? Dov'è quel cielo grigio? ... Iddio, insomma, aveva ripetuto il miracolo, tale e quale come Martino aveva ripetuto l'opera di misericordia. E per fargli vedere che l'aveva fatto unicamente per lui, la neve ricominciò a cascare, dopo una giornata di vera estate.
La mattina del terzo giorno, io non ve la voglio far tanto lunga, accadde quel che era accaduto la mattina innanzi e quell'altra: il solito povero ignudo, la solita carità di Martino (che, non avendo più mantello, si privò della casacca) e il solito miracolo: un tempo di piena estate fino a che Martino non trovò un riparo per la notte.
Vuol dire che la quarta mattina Martino fece più presto a vestirsi... Era l'ultima volta che si vestiva all'albergo; mezza giornata soltanto lo separava ormai da casa, mentre s'affibbiava le armi, egli pensava alla sua casa, al suo fuoco, alla sua tavola, al suo tiepido letto: solo una camicia, sotto quelle gelide armi, lo difendeva dall'aria - e la neve fioccava. Credete almeno che la camicia la riportasse? S'era appena mosso che un braccio nudo si tese tremolante verso di lui - e Martino, senz'esitare, diede quell'ultima camicia... Dio rinnovò per la quarta volta il miracolo: per la quarta volta l'inverno cedette improvvisamente all'estate. Ma per non più che mezza giornata: il tempo che ci volle a Martino per giungere a casa.
Da allora (se non sono io che ho sognato), novembre, il nebbioso, il piovoso, il nevoso novembre, s'è arricchito di questa gemma, di questi tre giorni e mezzo d'estate, che è l’“estate di San Martino”.
L'estate di San Martino, dura tre giorni e un pocolino, quanto durò quel viaggio: e poi di nuovo novembre, di nuovo il freddo, l'acqua, la neve: A San Martino, si veste il grande e il piccino. Infatti, se non è oggi sarà domani, la neve è vicina.

1 commento:

  1. Non la conoscevo così lunga, ma il senso è lo stesso, una generosità che forse oggi non si usa più. Ciao

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