giovedì 23 aprile 2009

Bebe parte I

Come forse già detto, all’istituto di Calalzo ci arrivai che avevo appena appena compiuto i quattro anni e ritornai a casa verso i sei. Sono molti i ricordi relativi a quel periodo, ma riguardano solo me o Jaja perché eravamo state messe assieme su richiesta-ordine perentorio di papà, quindi la frequentazione era intensa, ma Alberto? Nulla da fare: i maschi se ne stavano in un altro settore. Chiedevo sempre a Jaja e questo lo ricordo: “dov’è Bebe?” Lei mi rispondeva con calma e persuasione: “Dietro quel muro, con gli altri maschietti”. Io mi mettevo tranquilla perché sapevo che in qualche modo, oltre la parete che ci divideva, c’era Bebe. Probabilmente ci si incontrava, forse in cortile, al pranzo, nelle passeggiate domenicali con la mamma e papà…però di tutto ciò non ricordo nulla e questo mi fa rabbia.
Bebe è stato molto presente nella mia vita, una presenza talvolta esplosiva, tal’altra più ragionevole… nel senso che io avevo SEMPRE ragione!
Da piccoli, in quel di Brusegana, giocavamo molto sia in casa che fuori con gli amici del quartiere.
Nelle giornate fredde, quando non si poteva uscire, spesso ci costruivamo la capanna nella “sala da pranzo piccola”, quella per intenderci dove facevo i compiti, dove in estate si pranzava perché era più fresca, dove papà custodiva gelosamente le sue cose in una bella libreria con cassetti e sportelli di legno e vetro smerigliato. Nel mezzo della stanza troneggiava un bel tavolo (ora, molto modificato, se ne sta in cucina), aveva grosse gambe di legno, unite, nel lato più corto, da un’asse e un’altra asse correva nel mezzo, da un lato all’altro così da formare nella nostra fantasia una sorta di panchina protetta da tanto di tettoia. Mettevamo una gran coperta sul tavolo e il gioco era fatto, la capanna era pronta per accoglierci: offriva sicurezza e ogni confort.
C'era poi il momento serale del rosario: nel mese di novembre papà ci faceva recitare le Ave Marie con lui. La mamma intanto cuciva, papà passeggiava per il corridoio e noi rispondevamo "Santa Maria..." più o MENO interessati e compiti. Quando reputavamo che papà fosse lontano ci facevamo gran linguacce e smorfie, ma il suo passo troppo silenzioso ci tradiva e...pac...sberletta, ma perchè scopriva sempre me? Senza contare che nei suoi giri di perlustrazione, ogni tanto papà interrompeva la preghiera e ci spediva a riordinare le nostre cose. Quando ci si doveva inginocchiare: andavamo a cercare gli angolini rotti delle piastrelle per vedere l'impronta impressa sulle nostre ginocchia.
Bebe aveva la passione del trenino che faceva correre in tondo sui binari. Ricordo chiaramente quando una sera preparò con papà i binari, ci mise su il treno e, sulla locomotiva, papà infilò la sua sigaretta: il treno viaggiava lasciando una evanescente scia di fumo: che spettacolo!
E le invenzioni? Giochiamo a telefonarci? E così preparava due telefoni con…l’interno dei rotoli di carta igienica (?) e uno spago lungo quanto il corridoio. Io mi chiudevo in camera mia con un capo del telefono, lui si metteva al portoncino di ingresso con l’altro capo e “pronto pronto” lui e io, ma accidenti, lo sentivo forte e chiaro anche senza quell’ aggeggio!
Alberto ha sempre avuto la passione per la chimica, aveva un microscopio con cui analizzava di tutto, i suoi esperimenti li faceva in terrazza, lì si poteva trovare regolarmente un bicchiere con dei cristalli azzurro-verde appesi come grappolo ad uno spago. Non so che altro facesse, ma ricordo perfettamente che non potevo e dovevo toccare nulla, così come mi era severamente proibito cantare l’inno degli scout. Perche? Non ne ero degna…ma io…"John Brown giace nella tomba là nel pian, dopo una lunga lotta contro l'oppressor”…ah ah ah cantavo, cantavo a più non posso e lui….aaaaaaaaaah come si arrabbiava!
Ogni sabato si preparava per benino:pantaloni blu al ginocchio, camicia con stemmi vari, fazzolettone e baschetto nero. Inforcata la sua bicicletta raggiungeva il gruppo scout. Come mi sarebbe piaciuto partecipare, ma allora, mi si diceva, erano attività da maschi.
Quanto giocava, lì in quel di Brusegana, con i suoi amici: partite di calcio al campetto che facevano venire il batticuore alla mamma perché tornava a casa fradicio di sudore, lui con i suoi amici giocava a calcio anche in bicicletta nella piazzetta del Centro Sociale. Sempre in quella piazzetta i maschi si intrattenevano con il bindolo e questo legnetto piroettava pericolosamente nell’aria per gli interi pomeriggi estivi. Noi bambine intanto passavamo le ore con lo “scalone” , pattinando per le strade o sotto il porticato della casa rossa. Ogni tanto ci arrivava un secchio d’acqua dalla signora del I piano. Dicevamo che era pazza, ma col senno del poi posso ben capire che la sua testa fosse frastornata dalle nostre grida, risate, pallonate, bindolate, ma soprattutto dall’assordante rumore metallico dei pattini di ferro con le ruote immancabilmente consumate.
Bebe mi aveva insegnato, a questo proposito, di cambiare la posizione delle ruote perché si consumassero un po’ tutte nello stesso modo e quando erano ai minimi termini pattinavamo con un pattino a testa. La mamma poi continuava a mettere da parte punti di detersivi o chissà che per ottenere come premio pattini nuovi.
Molti giochi li facevamo tutti assieme, maschi e femmine: nascondino, guardie e ladri…e chi ne ha più ne metta. Eravamo proprio un bel gruppo, chissà dove sono finiti tutti?! In estate lui usciva un po’ anche di sera, a me non era permesso perché FEMMINA! e giocava a nascondino al buio, mi raccontava che era bellissimo sparire nell’erba. Ahhhhhhhhhhhh quanta invidia!!!!!
Un giorno uscì tranquillo per fare i suoi soliti giretti in bicicletta. Fu proprio quel pomeriggio che capì perché tale mezzo a due ruote è fornito di ben due freni! Probabilmente lo spericolato correva all’impazzata, quando si trovò costretto a frenare, che fece? Azionò il solo freno di destra e….che capriola! Tornò a casa tutto ustionato: gambe e braccia erano in fiamme, ci mancava anche il caldo torrido di quella stagione e così, dopo la disinfettata con alcool di rito (che dolor) si distese sul divano e io? Mi faceva proprio pena e allora lo sventolavo per alleviargli il bruciore….
Mi dispiaceva anche quando papà lo lasciava qualche minuto fuori dalla porta perché ritardava ed era l'ora del pranzo, allora non mangiavo nemmeno io finchè non fosse rientrato.
Certamente non ero così carina quando mi faceva arrabbiare! A cena noi mangiavamo in cucina, papà in sala da pranzo perché doveva seguire il telegiornale e probabilmente, vista la baldoria che si faceva, per il quieto vivere chiudeva anche la porta. Lì, soli con la mamma, ne facevamo di tutti i colori. Quando papà fischiava per richiamarci, facevamo pochi attimi di silenzio, poi si ricominciava.
C’era la serata delle pazze risate, quando si proponeva il gioco del silenzio, ma al 1 2 3 via! un’esplosione di risate riempiva la cucina. Ma c’era anche, e spesso, la serata dei dispetti. Bebe e Jaja si coalizzavano incredibilmente contro di me. Prendevano in giro la mia intoccabile maestra, moglie del direttore, perché la immaginavano mentre faceva le capriole con il marito. Tutto cominciò con la mia descrizione accurata degli incarichi che l’illustre docente ci dava durante la settimana, alla fine della quale c’era la fatidica “capriola” di mansioni: chi avesse fatto il capoclasse si ritrovava a raccogliere le cartine cadute a terra….e così via. Tutto ciò creava una gran ilarità nei miei due fratelli maggiori. La mamma aveva un gran dire “Finitela, papà si arrabbia” tanto rideva anche lei! L’unica che brontolava, sbuffava, cercava di spiegare cosa fosse la capriola naturalmente ero io, ma a loro che passava per la testa? Perché ridevano tanto per questa maestra che faceva le capriole… con il direttore?

3 commenti:

  1. beeella questa storia, finalmente un bel post lungo, lungo... scusa ma adesso ne vorrei uno bello lungo sulla mia mamma! non c'è nessuno che racconta meglio di te... si, si! baci

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  2. Che bei ricordi! Quante risate: era veramente divertente prenderti in giro. Ti sei dimenticata di destrivere la carrozza, le dame e il cavaliere: gioco bellissimo che faceva perdere tanto di quel tempo per la preparazione che quasi non ne rimaneva per giocare. Ciao

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  3. Che belli questi ricordi... Dev'essere stato bello avere tanti fratelli con cui giocare! Mi lasciano molto perplessa il maschilismo imperante... e le capriole della maestra col direttore!

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